FMP/FREE MUSIC PRODUCTION - An Edition of Improvised Music 1989-2004

FMP CD 110

Marcello Lorrai

 

La collaborazione ai massimi livelli, come e nel caso di Bill Dixon e Tony Oxley, fra musicisti che hanno fatto la storia del free jazz nero americano e del l’improvvisazione radicale europea, potrebbe apparire qualcosa di del tutto naturale: new thing oltreoceano e free music nel Vecchio Continente hanno costituito infatti due esperienze marcate da significative differenze estetiche, culturali, sociologiche, ma caratterizzate anche da un altissimo grado di affinità. E invece l’incontro fra protagonisti del free jazz e dell’improvvisazione radicale rappresenta un accadimento relativamente recente e piuttosto circoscritto.

E’ solo nel 1988, infatti, con la serie di concerti berlinesi destinati, con il patrocinio della FMP, a mettere a confronto Cecil Taylor con alcuni dei massimi improvvisatori europei, che viene finalmente gettato un solido ponte fra i due mondi: dagli albori del l´improvvisazione radicale europea sono dovuti passare oltre due decenni. Anche nella dozzina d’anni che è nel frattempo trascorsa, gli incontri al vertice fra i due storici filoni dell’improvvisazione sono rimasti tutto sommato eventi preziosi e non scontati. Visto dunque che i sodalizi fra esponenti del free jazz storico e del l’improvvisazione radicale europea sono un fatto tutt ‘altro che banale, vale allora la pena di domandarsi quali possano essere le motivazioni che stanno alla loro base. Ovviamente c’ è l’interesse reciproco a mettersi in gioco con partner insoliti, provenienti da una diversa matrice culturale e musicale: nel caso degli europei, si può immaginare anche il desiderio di dialogare con i primi artefici di una rivoluzione cruciale nella musica del novecento. Ma se scaviamo sotto questa generalissimo ragione, possiamo trovare chiavi di lettura via più specifiche. Il free jazz può essere visto come un “periodo” della storia del jazz, persino come un “genere” di jazz, e in quanto tale può essere storicizzata come un fenomeno suscitato da determinate premesse musicali e da un determinato contesto socio-politico. Questa storicizzazione è legittima a patto che non si con danni l´improvvisazione nelle sue forme collettive e più estreme a semplice momento di passaggio di una vicenda più generale, momento poi conservato solo alcuni elementi. Il free ha invece rappresentato il punto di coincidenza fra un fenomeno musicale storicamente determinato e l’emergere di un ‘esigenza, quella dell’improvvisazione svincolata dalle regole, dell’espressione individuale e intersoggettiva non condizionata dalla norma, che trascende un dato momento storico. L’abbraccio fra protagonisti del free jazz nero americano e dell’improvvisazione radicale europea rappresenta dunque una dichiarazione di fiducia nella dimensione dell’improvvisazione e nella ricerca al l’interno dell’improvvisazione di forme non convenzionali, fiducia in un fare musica inteso non come sopravvivenza di un passato storicamente consumato, ma come valore permanente e compito in-terminabile per il futuro. “La mia opinione”, ci diceva Bill Dixon a Berlino nei giorni della registrazione di questo disco, “è che la musica che segna in modo decisivo il linguaggio nella pratica musicale nera è la musica degli anni sessanta, che non si è preoccupata delle forme consolidate ma semplicemente le ha cambiate facendo qualcosa d´altro. La musica di quel periodo ha mutato tutto: per la prima volta nella storia di questa musica tutto quello che i musicisti facevano era stato creato da loro. E mi fa diventare matto vedere giovani che ignorano tutto questo e tornano indietro ad imitare quello che è già stato fatto da qualcun altro”. Lo scambio fra alcuni maestri del l´avanguardia nero americana è figure di primo piano dell’improvvisazione europea si è de lineato appunto in una fase di pesante riflusso del mondo jazzistico: lo spettacolo dei musicisti delle nuove generazioni che massicciamente cercano un consolatorio, perbenistico rifugio nel passato del jazz è solo un aspetto macroscopico di una più generale involuzione, di un più ampio conformismo. Rispetto a questo scenario, per chi come Dixon e Taylor ha strenuamente creduto nell’invenzione del nuovo, e non ha conosciuto arretramenti – anzi – del proprio linguaggio, l’improvvisazione radicale europea offre l’immagine confortante di una rete che ha resistito nel lungo periodo senza grandi smagliature e che è riuscita anche ad estendersi aggregando nuove energie, una rete costituita da personalità estranee al compromesso e calate con convinzione nella musica come tensione alla ricerca: personalità consapevoli di essere minoranza ma non frustrate nell’esserlo perché persuase del senso del proprio operare. Un mondo, questo, con cui è logico che possa trovarsi a proprio agio un uomo come Dixon, che già molto prima dell’88, del resto, era attento a cogliere il valore di alcuni nomi della scena radicale europea. Oltre ad essere stato uno dei battistrada del free, Dixon è del l’indipendenza dei musicisti, con gli storici concerti della cosiddetta “October Revolution in Jazz”, promossi ne l’64 al Cellar Café di New York, e la creazione, sempre alla metà del decennio, del la Jazz Composers’s Guild. La sua intransigenza nei confronti dell’industria della musica si è tradotta in un intero decennio, gli anni settanta, di silenzio discografico. Silenzio rotto solo quando, al l’epoca della sua “riscoperta” in Italia da parte del festival del jazz di Verona, nel 1980, ha stabilito un rapporto di fiducia con due etichette indipendenti italiane, con una delle quali, la Soul Note, ha pubblicato poi una decina di album. Il terreno d’incontro non è però costituito solo dall’irriducibilità della propria vocazione e dalla pratica del l’improvvisazione in generale, ma anche da qualcosa di più particolare sul piano estetico. Dentro il free jazz convivono per esempio la tendenza ad utilizzare ancora forme che metaforicamente potemmo definire “narrative”, e la tensione ad andare oltre, inuma dimensione decisamente “non-narrativa”.

Conquistador, l’album di Cecil Taylor inciso nel ‘66 da un sestetto comprendente anche Dixon, uno dei capolavori del free che agli interventi a volte folgoranti del trombettista deve non poco del suo valore, è un esempio di creazione musicale avanzata che mantiene però ancora consistenti elementi “narrativi”. Ma come nel l’opera di Taylor anche in quella di Dixon si possono trovare abbondanti testimonianze di una potente aspirazione alla non-narratività, con musiche che invitano l’ascoltatore a concentrarsi non sullo sviluppo di un “racconto”, ma sul l’esplicarsi dell’intersoggettività su libere associazioni, sulla produzione di energia, sulla creazione di un clima. L’improvvisazione radicale europea ha manifestato nella sua storia una forte inclinazione ad allontanarsi da una idea narrativa della musica, nel suo insieme anche più di quanto nel suo complesso lo abbia fatto il free jazz americano, e ha approfondito e maturato negli anni questa propensione. In questo carattere dell’improvvisazione europea musicisti come Dixon e Taylor possono trovare quindi una corroborante sintonia, un forte stimolo al dispiegamento di uno dei lati cruciali e innovativi della propria arte; mentre in loro i musicisti europei hanno il privilegio di incontrare un’elaborazione frutto di un’altra vicenda e di personalità e sapienza eccezionali. La convivenza di “narratività“ e “non-narratività” è forse un aspetto di una più generale ambivalenza del free jazz. Nel momento in cui porta a compimento la vicenda del jazz, la new thing sviluppa al proprio interno una corposo rapporto con la tradizione del jazz, da un’altra ha anche la forza, soprattutto in alcuni suoi protagonisti, di portare cosi in là gli elementi dell’improvvisazione e della libertà che provengono dalla tradizione, da arrivare a staccarsi dalla specificità di quella stessa tradizione. In questo movimento di conservazione-negazione della tradizione, si produce una inedita astrazione. Arrivata cronologicamente più tardi, e cresciuta in un alveo culturale differente, l’improvvisazione europea è arrivata per altre strade a quella astrazione, e ne ha fatto uno dei tratti decisivi della propria identità. Per questo musicisti come Dixon e Taylor – che in importanti aspetti della propria opera sviluppano un’astrazione che non avrebbe potuto darsi senza la premessa di quella tradizione, ma che quella tradizione ripropongono trasfigurata, lontanissima da una raffigurazione immediata – trovano nell’improvvisazione europea alcuni interlocutori al l’altezza dei loro esiti più radicali.

L’organico di queste registrazioni, con due bassi e una batteria, non è nuovo per Dixon: il musicista lo ha scelto fra l’altro per le incisioni del ´93 che sono state riversate nei due CD Vade Mecum (Soul Note), documentazione del suo primo incontro con Oxley (con Barry Guy e William Parker ai contrabbassi); e con due contrabbassi Dixon ha lavorato fin dalla prima metà degli anni sessanta, in propri gruppi o con Taylor. In questo assetto strumentale trova una piena valorizzazione l’approccio profondo, riflessivo, singolarmente lirico, del trombettista, che si sposa alle perfezione con il drumming disarticolato, anti-retorico, davvero “radicale” – perché capace di tenersi lontano anche dai luoghi comuni del drumming radicale – di Oxley, che di Dixon, come del resto di Taylor, non a caso è diventato uno dei batteristi prediletti (è stato proprio Taylor, al l’inizio degli anni novanta, ad insistere con Dixon perché sperimentasse Oxley come partner). Per collocare .´essenzialità di Dixon, e la congenialità alla sua improvvisazione di un contesto estremamente astratto, ci si può forse anche riferire, approfittando anche della doppia attività creativa di Dixon, che è pure un apprezzato pittore, ad un altro ambito artistico. Come in importanti esempi di pittura contemporanea, nella cifra stilistica di Dixon sembra a volte che tutta una cultura venga completamente bruciata nel l’atto creativo, in un impulso estetico che ricopre una dimensione primordiale. E i qui è stato toccato, da Rex Stewart a Dizzy Gillespie a Miles Davis , e tutta la sua personalità, si ritrovano fusi in un’espressione informale che ha molto di un gesto pittorico.

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